Il convivente non possessore della casa non può usucapirla

Il Tribunale di Roma ha affermato che il convivente more uxorio non è possessore della casa in cui risiede ma è solamente un detentore qualificato, pertanto, non solo non può essere estromesso repentinamente dal bene, ma non può neppure usucapirla in assenza di interversione del possesso (sentenza n. 8911 del 4 maggio 2016).

Il caso. Un uomo ha dedotto, davanti al Tribunale di Roma, di aver continuato a risiedere, dopo la morte della convivente, nell’abitazione, di proprietà della defunta insieme ai figli della stessa, odierni convenuti. Ha rilevato, inoltre, che al ritorno da una breve trasferta, i figli della compagna avevano provveduto a sostituire la serratura della casa, sita in Roma, dove risiedeva, portando via i beni e gli effetti personali che si trovavano all’interno. A ciò l’uomo aggiungeva di aver sostenuto spese a vario titolo per la manutenzione e la gestione della casa e per di più «avendo posseduto il bene del 1978, quale convivente more uxorio, aveva acquistato per usucapione il diritto di abitazione di cui all’articolo 1022 del Codice Civile».

Il convivente more uxorio è detentore qualificato. Il Tribunale di Roma ha osservato che il convivente more uxorio che abita nell’immobile adibito a residenza familiare è detentore qualificato di tale immobile. In forza di un negozio familiare è, quindi, consentito al detentore rimanere all’interno dell’immobile per un certo periodo, anche dopo la cessazione del rapporto di convivenza, senza che il convivente proprietario possa estrometterlo repentinamente. Peraltro, proprio perché detentore qualificato, per usucapire il bene, il detentore avrebbe dovuto trasformare, «attraverso una interversio possesionis, la propria detenzione in possesso», cosa che non è emersa dall’istruttoria. Il Tribunale ha inoltre specificato che il titolo di detentore qualificato non consente di «rimanere indefinitamente nell’abitazione familiare, così comprimendo il diritto di proprietà dell’altro convivente» ma lo tutela solo da una estromissione repentina che non gli permetta di reperire un’altra sistemazione e quindi gli consente di agire per essere reintegrato nella detenzione. La detenzione è quindi solo strumentale all’esercizio della menzionata azione a sua tutela, ma non attribuisce al convivente non proprietario un titolo da far valere, per esempio, a fini risarcitori.

Richiesta di indennizzo per uso esclusivo dell’immobile in comunione. Nel procedimento, inoltre, gli eredi della defunta proprietaria hanno proposto domanda riconvenzionale per ottenere un indennizzo per l’occupazione esclusiva dell’attore di un altro appartamento collocato a Ladispoli di cui era proprietario al 50% con la ex convivente. Il Tribunale ha rigettato sia la domanda dell’uomo di risarcimento del danno per l’estromissione dall’appartamento romano, sia la domanda riconvenzionale. «Se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento». Pertanto «il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere l’idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo», come in questo caso.

Fonte: www.ilfamiliarista.it

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